Fino ad oggi le attività di servizi in Italia sono state oggetto di numerosi vincoli basati su alcuni strumenti:
- il rilascio di autorizzazioni, basate sul possesso di una serie di pre-requisiti per l’apertura dell’attività.
- il contingentamento delle licenze, basato su criteri economici (tot consumatori/tot licenze), o di distanze (non meno di tot metri tra un’attività e l’altra).
- il superamento di un esame (che dava accesso ad albi, ruoli e quant’altro)
Per quanto questo meccanismo, creato prima degli anni ’70, sia nel tempo stato modificato, riducendo nel tempo molti vincoli, è rimasto sostanzialmente in vigore almeno nelle sue linee generali. Soprattutto è rimasto nella mentalità di molti (politici, operatori, associazioni) l’idea che il pubblico deve avere un “controllo” su queste attività.
Da oggi, o meglio da ieri, con il recepimento della direttiva europea Bolkestain o direttiva sui servizi, questi criteri sono d’un tratto superati e non più attuali, l’unico limite all’apertura di attività è la presenza di un “interesse generale” ben definito e dimostrabile. Questo pone, o dovrebbe porre, alcune domande.
Cosa dobbiamo liberalizzare e cosa continuare a controllare?
Con quali strumenti il pubblico può incidere sullo sviluppo delle attività commerciali e di servizio?
Invece di tentare di rispondere a queste domande oggi molti tentano di “salvare il salvabile” cercando di aggirare le normative europee.
A mio parere è un tentativo vano perché ormai è la realtà ad essere mutata. Ad esempio non viviamo più in un mondo in crescita quantitativa, anche prima della crisi, e questo riduce l’efficacia del contingentamento delle licenze. Le conoscenze evolvono rapidamente e non basta un titolo per garantire la professionalità di un operatore.
Chissà se qualcuno comincerà a porsi le domande giuste e ad azzardare qualche risposta.
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